Arriva ad Agrigento il progetto culturale di Benedetto Poma “Mito contemporaneo” a cura di Carmen Bellalba in collaborazione con il Museo Diocesano, nel polo culturale di san Lorenzo, con l’opera ultima dell’artista “la Confessione di Fedra” nella sala dei sarcofagi della Cattedrale, ispirata al capolavoro dell’arte romana il sarcofago di Ippolito e Fedra.
Agrigento è uno scrigno meraviglioso, un libro di storie a cielo aperto. Agrigento è una città che respira tutt’oggi e parla del suo illustre passato, è magia, è incanto, è mito. Ed è qui che si innesta come un piccolo gioiello la personale di Benedetto Poma dal titolo Mito contemporaneo, una personale che raccoglie alcune delle opere più importanti dell'artista catanese sul mito in cui si dà vita ad un viaggio incantevole tra un passato fatto di divinità eroi e naviganti e sirene; un passato che ci appartiene per genesi e di cui noi stessi siamo figli. Una celebrazione autentica del mito, un inno a quel passato illustre.
È stata infatti come una folgore quella provata dall’artista catanese Benedetto Poma, la prima volta che si è trovato Innanzi al sarcofago di Ippolito e Fedra della Cattedrale, un capolavoro d'arte romana di rara bellezza e raffinatezza. Da lì l'ispirazione a voler dipingere un'opera che ruotasse intorno a questo capolavoro dell'arte antica, a partire dalla ricerca storica delle fonti, la tragedia scritta da Euripide “Ippolito coronato” e alle successive versioni scritte da Ovidio, Seneca ed altri giunte fino a noi. Protagonista indiscussa dell’opera di Poma è Fedra: vittima di un illecita passione e prigioniera nell’immaginario antico di un unico episodio che la tratteggia come donna immorale. Piegata dai sensi di colpa ma vendicativa in Euripide, provocante e sostenitrice di un etica moderna e tollerante in Ovidio, combattuta fra tentativi di seduzione e sensi di colpa in Seneca.
È la Fedra di Euripide, la fonte d’ispirazione dell’ignoto scultore di officina attica che ha scolpito il sarcofago di Agrigento, così come nell’opera di Benedetto Poma; seppur relativamente alla descrizione dello stato emotivo della protagonista l'artista catanese, nel rileggere e riattualizzare la tragedia attraverso la pittura, si avvicina maggiormente alla versione di Seneca e soprattutto a quel definire “furor” il sentimento provato da Fedra, cioè quella sua passione ingestibile quel suo delirio amoroso nei confronti d'Ippolito “tentata con le preghiere ho resistito; al ferro e alle minacce non ha ceduto il mio animo. Ma il mio corpo ha subito violenza”.
Sulla tela l'artista compone un elegante racconto su più livelli, lo fa attraverso trasparenze e simboli. In un monocromo che viene alterato solo dal rosso scarlatto della veste di Fedra, come quell'amore sbagliato, rosso come la sua passione indomata e divoratrice.
Fedra è illuminata, risplendendo in tutta la sua bellezza al centro della scena. Il suo sguardo è fisso verso colui che le ha rapito l'anima, Ippolito, che la condurrà alla morte "Liberandomi della vita farò contenta afrodite che mi perseguita; mi vincerà amore amaro" Euripide.
Fedra è il personaggio scomodo, ancora una volta, a distanza di millenni, e come tale vive sulla propria pelle la condizione di donna; a lei lo scandalo, a lei la colpa, a lei a cui non è concesso la libertà di amare, a lei che non sa stare al proprio posto. Poma riscatta quella Fedra malata di amore di Euripide da quella condizione obbligata, a Lei l’artista catanese riconsegna il peplo rosso come simbolo dell’amore sincero, seppur sofferto, che senza colpa ama. Poma riconsegna a Fedra la sua dignità di donna e in Lei incarna la donna di ieri, di oggi e di sempre.