Caltabellotta ha origini antichissime e sorge, alcuni sostengono forse erroneamente, sul luogo della antica Camycus sede del leggendario re sicano Kòkalos. E' accertato invece che qui alla fine del II sec.a.C. sorse Triokala, la città degli schiavi. Il luogo fu distrutto dai romani e in seguito occupato dagli arabi che lo chiamarono Kal'at al-ballut (Rocca delle Querce). Occupata dal conte Ruggero nel 1090, vide la riedificazione del suo castello ad opera dei normanni. Qui fu firmata la "pace di Caltabellotta" tra Federico d'Aragona e Carlo di Valois il 19 aprile 1302 alla fine della guerra del Vespro tra angioini e aragonesi, che riconosceva al primo il predominio sulla Sicilia.
Caltabellotta Arte&Fede
Città di pace, fede e storia
In un paesaggio reso dinamico da affioramenti di rocce, si sale al borgo raccolto sull’alto di una montagna dolomitica. La posizione panoramica elevata, fortificata naturalmente a controllo di un territorio vastissimo, spiega la funzione preminentemente militare del sito, non a caso ricordato per la firma del trattato tra Carlo di Valois e Federico II d’Aragona, il 31 agosto 1302, che pose fine alla guerra dei Vespri Siciliani (passato alla storia come la “pace di Caltabellotta”). Prima di acquisire il nome arabo di Qal’ at ballut (“rocca delle querce”), l’insediamento urbano portava il nome greco di Triocala (“tre cose belle”), con un riferimento ai “beni” del territorio che, secondo Diodoro Siculo, ne costituivano la vera ricchezza: le salutari e abbondanti acque sorgive, la fertilità del suolo coltivato a vigne e ulivi, la forte rupe a inespugnabile protezione. Si può dire che Caltabellotta conservi ancora questo prezioso patrimonio naturale, insieme al pregevole tessuto urbano medievale tipico di una zona di media montagna del bacino mediterraneo. Costeggiato il nucleo più antico del paese, Terravecchia, si attraversa il vasto piano della Matrice, in suggestivo scenario rupestre, e si sale alla Chiesa Madre comunemente ma improriamente chiamata Cattedrale, sullo sfondo dei ruderi del Castelvecchio. Il visitatore che voglia conquistare un paesaggio mozzafiato prosegue ancora in salita fino all’Eremo di San Pellegrino dove si apre una vista panoramica stupenda, straordinaria e amplissima. La visita alla Chiesa all’Eremo incanta e apre al mistero. Tra la “Cattedrale” e l’Eremo la Chiesa della Pietà alla quale si accede passando un traforo roccioso che si apre con una vista inaspettata sul mare. Tra meraviglie naturalistiche, storico-architettoniche e tradizioni l’accoglienza e il buon cibo fanno della visita e della permanenza a Caltabellotta una esperienza unica.
San Pellegrino
da "Il Vescovo e il Drago" di Vittorio Giustolisi
L'Apostolo Pietro dopo avere ordinato Vescovo Pellegrino, originario di Lucca di Grecia, da Roma lo manda in Sicilia insieme ad alcuni compagni con la missione di convertire i pagani dell'isola alla fede Cristiana. I Vescovi Macario, Massimo e Marciano sono indicati come amici di Pellegrino. Egli sbarcato alla foce del fiume Verdura, oppure, secondo altri, ad Eraclea si sofferma qualche giorno per predicare. In quel tempo, molti demoni signoreggiavano diversi paesi.
Malgrado le difficoltà incontrate, riesce a convertire parecche persone alla fede di Cristo. Ma la principale impresa della sua missione e quella di raggiungere la città di Triokala che, distante 16 miglia da Eraclea, si tovava nella terra di Caltabellotta. In una caverna del monte Xghulegha, sovrastante la città, dimorava un feroce dragone che uccideva quanti incontrava, uomini e animali, e a cui gli abitanti di Triokala offrivano in pasto, per quietarne la fame, teneri fanciulli estratti a sorte tra la popolazione. Era da tale flagello che Pellegrino correva a liberare quegli uomini.
Lasciata Eraclea, Pellegrino raggiunge così in barca la foce del Verdura e da lì prosegue a piedi guidato da un Angelo. Al calar della notte , mentre pernottava presso un ovile sito nel feudo di Pioppo, rischia di venire sbranato dai cani aizzati da malvagi e perfidi pastori. Il giorno seguente, ripreso il cammino, prima di entrare a Triokala, alla quale preferisce giungere passando dalla parte alta del monte, deve ancora subire gli scherni e gli oltraggi di un gruppo di giovani scapestrati. Ma il suo trionfo non è lontano. Alle donne, alle quali egli chiede invano un pezzo di pane in elemosina, avviene qualcosa di portentoso. Dal forno esse estraggono i loro pani trasformati dopo la cottura in duri sassi e del prodigio è subito piena la città. Ricercato invano dalle autorità che vogliono conoscere l'autore della miracolosa trasformazione, Pellegrino riappare solo il giorno in cui la milizia si reca a prelevare il bimbo estratto a sorte per il pasto del drago. La madre dello sfortunato ragazzo era proprio la donna che qualche giorno prima aveva chiesto per Pellegrino del pane presso la vicina. Mosso così a pietà, il sant'uomo, dopo avere consolato l'infelice donna le promette, in nome di Dio Onnipotente, la salvezza del figlio e la sconfitta del Maligno. Tolto quindi di mano il fanciullo ai soldati, si avvia con lui verso il covo del terribile drago, seguito a distanza dalla madre e da una moltitudine di gente incuriosita e affascinata.
Ma non appena il drago, che discendeva con ardimento e arroganza dai pendii scoscesi del monte, giunge al cospetto di Pellegrino, si arresta pieno di terrore e, con grande meraviglia di coloro che seguivano a distanza, comincia ad emettere terribili strepiti, retrocedendo intimorito fino alla sua caverna. Pellegrino, seguito questa volta da un gruppo più esiguo di persone, insegue il mostro e raggiuntolo gli conficca nelle fauci spalancate il suo miracoloso bastone. Il terribile dragone è così sprofondato per sempre nell'abbisso di una spelonca.
Il fanciullo salvato viene battezzato con il nome di Liberato e coloro che avevano assistito al portento, istruiti da Pellegrino abbracciano subito la fede di Cristo. Vicino al foro in cui era avvenuto lo scontro col dragone, Pellegrino lasciò sulla viva pietra l'impronta del sua piede. Nel luogo, per commemorare la sconfitta del maligno, i fedeli cristiani edificarono una cappella. Il foro in cui il drago rimase relegato venne invece chiuso e più tardi servì probabilmente come luogo di sepoltura.
Deciso a condurre vita eremitica, Pellegrino scelse poi una grotta posta poco più in alto di quella del dragone e vi domorò, dedicandosi alla meditazione e alla preghiera. La fama delle sue imprese lo costringe tuttavia a scendere ben presto in città. Richiamato a furur di popolo egli è così accolto dai governanti di Triokala i quali, non appena ebbero ascoltato dalla sua bocca la parola del Vangelo, immediatamente si convertirono. Nondimeno i sacerdoti pagani opposero una certa resistenza, cercando di screditare quanto Pellegrino andava predicando. Le svariate guarigioni che egli operò sugli ammalati accorsi a vederlo, gli fecero comunque guadagnare terreno e alla sera egli potè ritornare quasi del tutto vittorioso alla sua grotta.
Un altro giorno Pellegrino scese dal monte perchè invitato dal sommo sacerdote degli dei falsi e bugiardi. Ma appena egli entrò nel tempio, al cenno del suo bastone, tutte le statue del culto pagano caddero a pezzi e di demoni che le animavano fuggirono via spaventati. Per Pellegrino fu il trionfo completo: anche i sacerdoti della vecchia religione si convertirono, mentre il popolo mandò in rovina i vecchi luoghi di culto. Chiese e altari vennero fatti erigere da Pellegrino per la nuova fede ed, da buon Vescovo si adoperò ad organizzare la Diocesi che presiederà per trent'anni, fino all'età di settanta. Tra i sacerdoti che verranno da lui ordinati vi sarà Liberato il quale coronerà la sua carriera divenendo Vescovo di Triokala e infine Santo. Particolarmente devuto alla Vergine Maria, il cui culto Pellegrino introdusse per primo in Sicilia, ne fece dipengere un'immagine che venne fissata all'altare della chiesta triokalitana.
Ma mentre Pellegrino alterna la solitudine eremitica alle cure della diocesi, oscure nubi si addensano all'orizzonte della cristianità. È il tempo in cui San Pietro e San Paolo muoiono martiri durante la persecuzione di Nerone e truci inviati assalgono un giorno Pellegrino nella sua grotta, lopercuotono e lo gettano nelle fiamme. Per quanto una tradizione tramandi che Pellegrino sia morto da martire in tale occasione, un altro racconto vuole che egli sia rimasto illeso e che, in virtù della rivolta del popolo che fece eccidio dei pagani idolatri, sia tornato a vivere nella sua grotta fino al giorno in cui spirerà pacificamente attorniato dal conforto del suo popolo.
Una volta morto, Pellegrino venne sepolto nei pressi della grotta in cui aveva dimorato; sembra però che in seguito le sue reliquie siano state trasferite a Lucca di Grecia. Dopo la distruzione di Triokala da parte dei romani, il che accadeva molti anni dopo la morte del santo, e dopo un periodo oscuro per la Sicilia, seguito anche da sommovimenti della terra, il culto del santo, mai estintosi fra gli abitanti del luogo, rimase più vivo che mai nella nuova città di Caltabellotta, edificata accanto ai resti dell'antica. Da allora Pellegrino protegge il paese da una lunga serie di calamità e per intercessione della Madonna, da lui in vita tanto adorata, ottiene spesso la clemenza divina. In special modo egli ridona la salute agli ammalati ed è grande perciò l'afflusso di fedeli al Santuario che i devoti caltabellottesi gli hanno eretto nei pressi della grotta in cui egli aveva vissuto. Accanto alla grotta è sorto anche un convento, ingranditosi notevolmente nel tempo, nel quale dimorano parecchi eremiti che votati a Pellegrino sono addetti alla celebrazione del suo culto.